Come costruire il vostro Super Brand

Quale brand ha i superpoteri? Senza dubbio quello che resiste alla kryptonite costituita oggi da diverse minacce: l’incapacità di restare al passo con le attese dei suoi stakeholder, la modesta performance nell’experience, il venir meno della sua credibilità reputazionale, una promessa mancata di essere un brand orientato alla salvezza del mondo e della società.  Ma come si costruisce un brand dotato di superpoteri? Gli esperti del reparto armi di seduzione di massa di Research Dogma ci hanno fornito una ricetta segreta per costruire di questi tempi un brand dotato di superpoteri. Ve la passiamo, ma non fatela girare troppo…

Le attese dei consumatori

Banale dirlo, ma i clienti hanno delle aspettative verso il Brand, alcune storiche, altre nuove. Le aspettative cambiano e spesso si sono evolute velocemente in questi ultimi anni. Non possiamo qui ovviamente fare un recap di tutte le aspettative verso tutti i brand di tutti i settori. Giusto alcune regole generali, abbastanza trasversali, basate su quanto sta accadendo in questo periodo:

Personalizzate e siate relazionali: se riuscite a farlo con chatbot o A.I. meglio per voi, ma non fate finta di esserlo, potrebbe essere peggio… meglio riscoprire strade human-centric. La personalizzazione industriale ha ancora molto da insegnare ai Brand e la strada  del presidio delle singolarità umane è ancora lunga.

Siate veloci: ci siamo abituati ad avere risposte e talvolta prodotti quasi in tempo reale. E’ l’epoca di WhatsApp Business, altro che risposte istituzionali su FB. Questi mesi sono quelli del rallentamento (supply chain globali e locali lente ed intasate), ma non date per scontato che i vs clienti lo apprezzino e, comunque la risposta e la presa in carico sia immediata. Come diceva Ennio Doris (un genio, anche per la sua capacità di leggere i bisogni delle persone): “il mio call centre deve rispondere in 3 secondi” (mentre gli altri allungavano il brodo dell’albero IVR di selezione). Un mito.

Giustificate il valore per il cliente: al tempo della ripresa dell’inflazione (alta o bassa che sia), che si tratti di una promozione o di un aumento di prezzo, c’è bisogno di convincere che dietro c’è un ragionamento di rispetto del cliente e un interesse almeno condiviso fra brand e cliente.

Siate informativi e non pubblicitari.  Soprattutto su internet e i social diamo info concrete ed utili,  magari anche in modo divertente (le due cose tenute assieme rappresentano una proxi delle attese in evoluzione sul digital). Voi ed il vs. Brand dovete diventare un influencer (così smettete di comprare l’influenza degli altri in sostituzione di quella che non avete voi). Per diventare un influencer non dovete usare lo storytelling pubblicitario ma assumere il ruolo di narratore ed esperto dei bisogni che intende soddisfare, non necessariamente (non solo, perlomeno) dei vostri prodotti e servizi.

La Customer Experience

CEE ScoreUn superbrand potrebbe aver  bisogno di una superexperience, o meglio, di una experience bilanciata esattamente sul sistema di aspettative che il brand stesso ha creato.  Su questo facciamo parlare KPMG (Eccellenza nella Customer Experience 2021 https://home.kpmg/it/it/home/insights/2020/12/customer-excellence.html ) che ha appena pubblicato i risultati della sua tradizionale analisi annuale sulla CX. Prendiamo ad esempio questo grafico che rappresenta le distanze di valutazione fra il brand leader in Italia (Amazon) e la media degli altri brand di tutti i settori. Ecco, se le aspettative dei consumatori italiani verso i loro brand fossero settate sulle performance che attribuiscono ad Amazon, la distanza da colmare non sarebbe proprio minuscola.  Può essere improprio confrontare un brand qualunque con Amazon? in parte sì; ma come abbiamo visto, una buona parte delle aspettative gli italiani se le formano per apprendimento da mercati prossimi, non necessariamente da brand dello stesso mercato. Come nelle pandemie potremmo parlare anche qui di “Spillover”, un salto di specie che rende più veloce e pericolosa l’evoluzione, in questo caso delle attese.

Immagine e reputazione del Brand

brand reputationUn piccolo difetto che qualche brand normale potrebbe avere è quello di credere che tutto si possa risolvere con una buona comunicazione.  Spesso, il compito di eseguire questo pensiero – forse vero in passato ma oggi sempre più sbagliato – tocca alle agenzie di comunicazione (e alle funzioni di comunicazione interna). Entrambe qualche volta complici, altre volte solo vittime.  In realtà la situazione è sempre più evidente: nel mondo d’oggi non basta dire qualcosa per essere creduti e non basta fare una buona pubblicità per diventare un superbrand.  Con metafora calcistica antica potremmo dire: non si crea una grande squadra disponendo solo un grande attacco; un grande brand ha bisogno anche di grandi mediani e grandi difensori, che sappiano connettere rutilanti promesse con comportamenti ed esperienze.  La caduta di credibilità ed immagine dei brand (anche delle istituzioni, in quanto esse stesse “brand”) è fra l’altro un elemento connesso alle grandi crisi che stiamo vivendo in questi anni.  Il consumatore e cittadino diventa sempre più cauto e malfidente, pensa male in prima battuta, il marketing e la comunicazione sono diventati quasi degli insulti (purtroppo anche per colpa nostra, di chi se ne occupa professionalmente, va detto).  È tutto marketing” equivale a sinonimo di fuffa o di truffa a seconda della predisposizione d’animo, più o meno bonaria, del soggetto parlante.

Non solo da noi: la credibilità di imprese ed istituzioni negli Stati Uniti è ad esempio  in ripresa dopo le grandi crisi di questi anni, ma non siamo tornati a livello del recente passato. Per le imprese sono andati molto meglio gli indici azionari della ripresa reputazionale. In altre parole: meglio essere azionisti che clienti di molti brand?  E’ una cattiveria, ma in alcuni casi sembra purtroppo avere qualche fondamento. Un superbrand deve saper sfuggire a questa trappola mortale: il suo marketing e comunicazione devono essere “al di sopra di ogni sospetto”, la sua immagine deve essere coerente con la sua azione. I suoi consumatori e dipendenti collaboratori, devono essere i suoi primi brand ambassador.  Impossibile? No, ma richiede una strategia e tanto lavoro e rigore. Non tutti possono essere superbrand, d’altronde. Sono molte le classifiche nel mondo che esaltano ed adulano brand oggettivamente importanti e famosi, ma non sempre questi sono realmente dei veri superbrand.

Il Brand che salva il mondo

trust I bisogni del mondo hanno fatto alzare l’asticella per il brand che vuole diventare un superbrand.  Non basta più avere una specchiata immagine nella attività caratteristica dell’azienda ed essere una azienda rispettata ed onesta. Oggi l’azienda deve anche salvare (o perlomeno migliorare) il mondo.

Questo aggiunge un ulteriore livello al percorso da superbrand. Bisogna riuscire ad avere tutto quanto raccontato prima ed in più avere un percorso di “sostenibilità” solido e concreto, un brand purpose, ineccepibile. Possibilmente fatto non solo di buona comunicazione e iniziative di supporto su qualche buona causa socio-ambientale (questo magari bastava fino a qualche tempo fa). Oggi ci vuole una strategia industriale, un piano strategico di sostenibilità che ridefinisca integralmente il modello di impresa, il suo modo di produrre, il suo modo di recuperare e rimettere in opera (si pensi all’economia circolare e non solo ai classici temi di riciclo) i suoi prodotti, il modo di inventare nuove soluzioni, nuovi modi di proporre e distribuire con le relative supply chain. Un compito oggettivamente difficile e complesso al quale in questo momento solo in pochi sembrano preparati.  Un piccolo dato dalla survey globale 2020 di Edelman[1]  sul suo barometro della fiducia che incrocia etica e capacità. Tanti soggetti sociali (di certo il mondo del business, espressione del Brand per definizione) sembrano ancora faticare – malgrado oggettivi sforzi – ad interpretare il nuovo mandato sociale ed ambientale.

BRAND COHERENCE: MISURARE I SUPERPOTERI DEL BRAND

Riassumendo questo veloce percorso. Un super brand, per essere tale deve avere una performance elevata ed una coerenza intrinseca passando da un livello all’altro. Con la sua proposta deve saper rispondere alle attese, con la sua immagine e comunicazione essere coerente con la sua azione e l’esperienza che dà di sé stesso, la sua immagine ed il suo agire devono essere specchio fedele del suo brand purpose, che sia centrato sui temi della sostenibilità, del futuro del pianeta e della società o su piani valoriali più concreti ed operativi. Potremmo aggiungere un livello di coerenza: quella interno/esterno: l’immagine che dà ai suoi dipendenti (collaboratori, fornitori) deve corrispondere all’immagine esterna possibilmente in positivo, ci mancherebbe. Insomma, una mission impossible, apparentemente. In realtà, il lavoro di costruzione di un superbrand non appare così al di fuori della portata dei tanti e buoni brand che ci servono e ci accompagnano nelle nostre esigenze della vita.

Non abbiamo tanto spazio per entrare molto nel dettaglio, proviamo solo  a riassumere proponendo due consigli finali per brand che vogliono diventare super:

Il primo riguarda l’interno: Il ruolo della cultura interna e della motivazione nella creazione di un super brand è fondamentale. Evitiamo di dividere il mondo (e l’azienda) per silos. Riscopriamo le comunanze e le interazioni orizzontali, non solo le differenze funzionali e verticali. La cultura interna deve agire a due vie, non basta una Alta Direzione che dia la linea (il brand purpose ad esempio). Il brand purpose deve nascere dalla cultura interna, la direzione deve – spesso – “solo” orchestrarlo e valorizzarlo. Fare verifiche sulla cultura interna e il suo stato di salute non è difficile. Ci sono tecniche abbastanza semplici e non invasive per verificare lo stato della cultura interna e la sua capacità di supporto al vostro superbrand.  Un consiglio fra i tanti: ripensiamo integralmente le ricerche sulla employee satisfaction, che ormai languiscono in molte aziende come rituali ormai consumati e con poco significato. Lo stesso percorso di attivazione delle energie interne può riguardare ad esempio la cultura tecnica e produttiva dell’azienda, orientandola a gestire la sostenibilità secondo un piano strategico nel quale le materiality map vengano disegnate secondo le attese degli stakeholder, per disporre di materiality map e di piani strategici conseguenti che siano uno strumento di competizione e non solo un esercizio di rendicontazione teorico e di poco impatto sul business.

Il secondo riguarda l’esterno: bisogna organizzare cantieri di intervento sul Brand che anche in questo caso procedano per sintesi e non solo per parcellizzazione funzionale.

Se un tema importante è quello della coerenza fra i livelli, vanno recuperati le tecniche di ricerca che studiano la coerenza fra i livelli, forse ancora prima di entrare in profondità sull’estremo micro-dettaglio. Il “vivisezionamento” ossessivo delle ricerche operative deve lasciare spazio ad una strategia olistica, di impostazione Gestaltica (dove l’insieme ha un valore superiore alla somma delle sue componenti) di comprensione dello stato di salute del Brand[2].

Sappiamo che il lavoro da fare è tanto e non pretendiamo che quanto detto lo esaurisca. Però, iniziare da una buona identificazione del problema, una prima visione strategica e magari  da una buona misurazione dello stato dell’arte (della coerenza del nostro potenziale superbrand) è sempre un buon punto di partenza.  Buon Lavoro.

 

 

[1] https://www.edelman.com/trust/2020-trust-barometer

[2] Ci sono approcci sviluppati da Research Dogma e derivati ad esempio dagli studi di PNL che consentono di studiare la coerenza di un superbrand nel passaggio fra i diversi stadi, andando a determinarne la sua capacità di raggiungere lo stato di “anti-fragile”, come sostiene Nassim Taleb.

© Research Dogma 2021

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