Di non solo Fintech vive l'innovazione bancaria

Banche e finanza nel mondo – e non solo in Italia – parlano continuamente di innovazione, spesso alla ricerca del Fintech Perfetto. Il Sacro Graal tecnologico che aumenterà ricavi e margini, possibilmente cancellando o diminuendo la seccatura di gestire clienti, dipendenti e sportelli. Per fortuna, “the real world”  (fatto di persone ed aziende in carne ed ossa e non solo di metaversi) mostra opportunità ed attese anche diverse….

“INNOVATORE È CHI INNOVAZIONE FA”: FORREST GUMP E L’INNOVAZIONE BANCARIA

Guardando al livello degli investimenti del settore bancario in tecnologia ed al dibattito su digital transformation e fintech, potremmo dire che il settore bancario e la finanza in genere sono fra quelli più votati all’innovazione. companyAnche le analisi sul prossimo futuro appaiono orientate in questa direzione: ormai in ognioccasione pubblica si parla di A.I., blockchain, cybersecurity e della digital transformation in fase di completamento nell’industria finanziaria.   Tuttavia, andando oltre i cantieri di innovazione oggettivamente presenti, si riscontra una realtà più composita, dove la tensione verso l’innovazione, prevalentemente di tipo tecnologico, si scontra con una realtà più conservativa. Il balance complessivo, ad esempio per la clientela delle banche, sia quella B2C che quella B2B, sembra alla fine propendere per la tradizionalità del settore, più che per l’innovazione. Tranquilli: non solo in Italia; come appare da questa dichiarazione uscita in ottobre su una testata on line del settore banking USA (che peraltro ci sentiremmo di sottoscrivere):

“Researchers find financial executives don't fully understand what people really want. On the business front, companies are clamoring for solutions from banks... or their competitors. “

(Steve Cocheo, Executive Editor, The Financial Brand, USA | 12 October, 2021, commenting the results of the Capgemini global payment study) Tweet

Perché diversi osservatori ritengono che sull’innovazione bancaria ci siamo ancora importanti gap da colmare?  Forse la risposta sta in due elementi:

  1. uno strutturale legato all’identità della banca: “la banca è un sistema organizzativo centrato su sicurezza, comando & controllo, orientato al controllo del rischio, con forte attenzione ai temi regolatori e per definizione più orientato a seguire che a condurre sull’innovazione”. Da questa identità viene forse la passione del mondo bancario per quello delle fintech, per definizione, affini ed allo stesso tempo “aliene”: l’innovazione finanziaria sembrerebbe necessitare di un terreno di coltura specifico e differente per nascere e crescere. Come vedremo in seguito, per innovare bisogna riuscire a cambiare la nostra identità organizzativa: la banca che prima innova sé stessa è quella che può creare innovazione per il suo mercato. Lo snodo è fondamentale.
  2. uno esterno e legato alle velocità del cambiamento sociale: le esigenze e le elaborazioni del bisogno da parte dei clienti (per quanto in modo disordinato) stanno precedendo di molto la capacità di elaborazione del sistema di offerta.

Da qui un crescente disagio di clienti (B2C e B2B) per la capacità delle banche di rispondere alle mutate esigenze. Non basta dunque investire in fintech per poter diventare innovativi. il punto di vista che il mercato prova a raccontare alle banche è diverso.

“INNOVAZIONE È QUANDO CLIENTE FISCHIA” (Vujadin Boskov, in memoria di)

Il richiamo a una innovazione customer driven rende opportuno interrogarsi su che cosa cerca il mercato da una banca. Il mercato, anche se sembra abbastanza tranquillo e pacificato, sta esprimendo diversi segnali, ad ascoltarlo con attenzione. Proviamo a riassumerne alcuni, senza porci un obiettivo di completezza.

  1. Il prodotto bancario appare (purtroppo) rigido, noioso e tradizionale

Capita quando il prodotto è soprattutto tecnico e funzionalista (un bonifico, una transazione).  Questa normalità funzionale difficilmente crea emozione, ingaggio o più pragmaticamente il senso di distintività ed utilità superiori. Il risultato: una moderata soddisfazione verso il livello dei servizi bancari, considerati “abbastanza buoni” (ma anche tutti uguali). I miglioramenti attesi che l’innovazione potrebbe meglio presidiare: il rapporto qualità prezzo, la personalizzazione, la stessa varietà di gamma.  Lo stesso home banking (anche in forma di App), resta solidamente centrato sulle pratiche tecniche del settore, ovvero ha cercato spesso di sviluppare il massimo dell’ergonomia senza cambiare il linguaggio e l’impostazione logica del prodotto bancario tradizionale. L’organizzazione di un home banking (ma anche delle piattaforme per l’impresa) è molto centrata sulla tassonomia bancaria e mal si presta a personalizzazioni più orientate agli user. Sul tema specifico del corporate banking, poi, ci sarebbe molto da esplorare: la distanza attuale fra corporate banking in Italia e i bisogni ed i processi amministrativi aziendali (ERP e non solo) appare ancora molto ampia.

2. Le buone pratiche nel digital, come noto, sono infettive

Sappiamo bene che  le buone abitudini che abbiamo preso in questi ultimi anni grazie alle best practice digital, non necessariamente bancarie, ci stanno viziando. Ci aspettiamo che ogni comparto di servizio – banche incluse – riveda la sua customer experience, rendendola migliore, più piacevole, più veloce e semplice. Nessuno intende mettere in dubbio che le banche non stiamo cercando di operare in questo senso, ma è sotto l’occhio di tutti che nell’insieme dell’offerta bancaria ci sarebbe ancora molto da fare. Prendiamo ad esempio un dettaglio di come siamo cambiati: come si è accresciuta la nostra attesa di velocità nel servizio. La velocizzazione delle attese (dalle consegne, alla immediatezza della connessione video o dei messaggi) hanno reso “lenti” tutti i comparti che faticano ad allinearsi (e sono tanti, in questo periodo di scarsità delle materie prime). Gli stessi social classici – alla faccia del metaverso – sono diventati lenti in termini di connessione e relazione. Dare oggi ad un cliente bancario “risposte su FB” appare una modalità gentile ma ormai vetusta.  Oggi lo standard di relazione è la risposta quasi immediata, in conversazione diretta: videochat, instant messaging, al limite la telefonata, magari per operare in diretta e svolgere al momento le pratiche necessarie (senza ulteriori complicazioni, firme e supporti cartacei).   Le banche si sono in parte dotate di queste tecnologie ma il loro inserimento nei processi di gestione del mercato retail (e B2B) sembrano ancora molto parziali.  In fondo, stiamo ancora comunicando al mercato il vantaggio di prendere un appuntamento in filiale. Funzionalmente ha senso, ma suona terribilmente out of sync con le nostre potenziali attese di immediatezza. Spesso di questa arretratezza si lamentano gli stessi gestori di front end chiamati a svolgere in questi anni un lavoro a distanza (smart work + relazione a distanza con il cliente) senza avere né la pratica né la strumentazione adeguata. Non parliamo poi della necessaria formazione lato cliente che è spesso lasciata al talento ed alla cultura digital del singolo.

3. “Rimettiamo la chiesa al centro del villaggio”: prima il mondo fisico poi il metaverso

Il proverbio francese ci ricorda che questo discorso sulle attese ha una lista di priorità dove il mondo fisico ha la sua rilevanza. C’è ampio spazio per ripensare ed innovare la relazione fisica e lo sportello. La chiusura degli sportelli continua e continuerà anche per la crescita della cultura del servizio a distanza da parte della clientela. Ma una recente ricerca presentata da BNP Paribas Cardif sul tema dei giovani e la loro prefigurazione del futuro ci ammonisce a non prendere troppe scorciatoie verso l’online puro. La ricerca mette in luce che le aspettative dei giovani siano verso una esperienza seamless fra on ed off line, non per l’abolizione del mondo fisico. Il vero tratto della Gen Z non è la sua natura “pure digital”, ma quello dell’abbattimento definitivo della barriera esistente fra online e mondo fisico, le due realtà si fondono in un continuum.  La relazione con il proprio consulente (e non con un chatbot) la vogliono sia fisica che a distanza. Il negozio lo vogliono magari senza barriere casse (quindi con un link diretto ai sistemi digitali di pagamento), l’agenzia bancaria o assicurativa la desiderano come una spa del wellness finanziario (piccolo o grande che sia). 

4. Le persone contano: innovazione finanziaria che risolve problemi alle persone

Questi sono stati gli anni della scoperta dell’emozione, della vicinanza alle persone ed alle comunità, nella comunicazione sociale (e in quella bancaria). Dai movimenti sociali globali per un mondo migliore, alla responsabilità ESG, agli slogan (che toccavano sensibilità reali e profondamente umane) durante la pandemia: è stato tutto un fiorire di messaggi e iniziative. Ma tutto questo ha solo tangenzialmente toccato il mondo del prodotto e delle soluzioni bancarie e finanziarie. Abbiamo spesso parlato di servire i progetti delle persone, ma la trasformazione in processi di servizio è stata abbastanza accademica (il fondo pensione, la polizza vita…). Anzi, il buon andamento dei mercati ha creato una innovazione finanziaria che ha in fondo trascurato negli ultimi tempi i temi della consulenza goal-driven, centrati sulla persona, per puntare sulle specialità di investimento nei mercati globali. La comunicazione finanziaria ci ricorda che oggi possiamo investire in una vetrina scintillante di nuovi prodotti esoterici: oltre ai temi ESG, crypto, marijuana legale,  microchip, terre rare, la lista è infinita.  Tutti prodotti molto interessanti ed utili, ma proposti, appunto, in logica di storytelling di mercato. Come una volta (solo 2-3 anni fa) si proponevano i mercati emergenti.  Il grafico qui di fianco, proveniente dall’interessante osservatorio di Anima sgr[1], ci rammenta  che le persone (persino gli algidi investitori) hanno amore per i propri progetti più che amore per i mercati.  L’innovazione dovrebbe occuparsi anche di questo e – per essere credibile –  non solo quando i mercati vanno giù.  Il tema del “parlare alle persone” va ben oltre il tema dei progetti. Come dicevano i ragazzi nella già citata ricerca BNP PB Cardif: rivolgersi alle persone può significare parlare di forme concrete (e non solo metaforiche) di benessere per il cliente. Che in ultima analisi si trasforma in una superiore capacità di dare personalizzazione nei propri processi di servizio e di prodotto. Il tema della personalizzazione industriale, grazie alla tecnologia è potenzialmente foriero di ampi sviluppi, ma capire quali siano quelli che possono diventare reali vantaggi competitivi richiede di partire dalle persone e non dai laboratori di tecnologia.

5. Innovazione per i regolatori : per una “ergonomia delle regole” che ne abbassi la complessità

Non solo le banche dovrebbero innovare, anche i regolatori dovrebbero farlo nell’esecuzione dei loro processi di regolazione. Le banche sono strette – anche giustamente – nella morsa di una regolamentazione molto stringente. In parte alcuni limiti nella costruzione di processi orientati al cliente dipendono da aspetti regolatori o da loro interpretazioni. Ad esempio: le pratiche Mifid (1,2)  , la stessa PSD2 (pensiamo alla Strong Customer Authentication), o le pratiche di privacy hanno aumentato le incombenze formali (ma anche la sicurezza va detto) non sempre migliorando  l’experience e la sua semplicità per il cliente. È tutto di certo pensato per il bene del cliente, ma se analizzate dal punto di vista dell’ergonomia e dei bisogni, queste soluzioni appaiono ancora lontane dalle esigenze di semplicità e praticità espresse dal mercato. Evidentemente finora non si è trovata una soluzione migliore, ma questo non vuol dire che l’innovazione non abbia spazi e bisogni da soddisfare. L’esigenza di supportare i regolatori nella definizione delle regole con dei test specifici di usability  (preventivi o in fase di deployment delle regole), appare una delle aree non marginali di uno scenario di innovazione sociale di elevata utilità e modernità.

6. Last but not least: quando il brand purpose diventa una leva strategica

Il tema del brand – della sua strategia di sostenibilità, incluse le elaborazioni di brand purpose – rappresenta un’altra area nella quale l’innovazione potrebbe portare utili contributi al nostro settore.  Non c’è azienda che oggi non parli di questi temi, ma la capacità di trasformarli in vantaggi competitivi concreti e percepiti dal mercato appare ancora molto contenuta, o almeno questo dicono le ricerche.  C’è bisogno di brand che diano una linea credibile, concreta e sostenibile allo sviluppo tecnologico (in campo energetico e produttivo) e sociale. Abbiamo bisogno di soluzioni concrete (incluso un buon marketing), anche sui temi di economia circolare e dei processi di risparmio e conservazione del prodotto già nelle mani del consumatore e non solo sul prodotto “nuovo”. C’è bisogno di senso di comunità ed inclusione sul territorio. Questo discorso vale per tutti i settori, ma diviene più urgente proprio per il settore finanziario che risulta marginalizzato dalla pubblica opinione proprio su questi temi. Il settore ha una reputazione e trustability abbastanza contenuta (qualche miglioramento c’è stato negli ultimi anni, ma sono ancora piccoli segnali) e non è oggetto di aspettative specifiche su tutti questi temi. Forse le stesse aziende del settore faticano ad andare oltre una onesta “comunicazione sulla sostenibilità”, che soddisfa – almeno oggi – solo una piccola parte delle attese. Un approccio puramente “comunicazionale e poco fact based – come abbiamo visto in queste settimane –  rischia se non l’accusa di greenwashing, almeno lo sberleffo del “blah, blah”. La velocità del cambiamento di sensibilità è evidente. Quello che era “gold standard” fino a 6 mesi fa – una comunicazione di un brand  che parlava di sostenibilità,  presentando qualche buona iniziativa di sostegno all’ambiente ed alla società – oggi rischia di essere letta come il segnale di un brand in realtà poco impegnato per il cambiamento.

[1] edizione di marzo 2021, in attesa della nuova autunnale che uscirà fra poco

IN CONCLUSIONE: INNOVARE È UN LAVORO SU SE STESSI, PRIMA CHE SUL PRODOTTO

Proviamo ad usare l’ottima sintesi che Deloitte propone nel suo Innovation Study 2021[1] per fare un recap delle sfide che ci attendono come settore sul versante dell’innovazione. Deloitte sintetizza in 5 punti i consigli per diventare vere banche orientate all’innovazione.

 

  1. Siate ambiziosi: i migliori giocatori di solito giocano per vincere, invece di giocare per non perdere. La vostra organizzazione protegge prodotti, servizi, clienti e processi esistenti? Giocare in difesa significa ridurre i costi e aumentare le efficienze. Innovare richiede l’ambizione di giocare all’attacco… cosa che potrebbero includere anche il ripensamento della cultura e del Brand.
  2. Il punto di partenza non è l’offerta attuale: la maggior parte delle organizzazioni inizia il processo di innovazione ottimizzando i prodotti, i servizi e i processi esistenti (offerta). Ma le aziende con la crescita più elevata concentrano i propri sforzi di innovazione sulle esigenze dei clienti e del mercato (domanda)…
  3. Create la vostra fintech interna: le aziende più performanti finanziano l’innovazione sulla base di un business case anziché di un’assegnazione annuale ricorrente (come il classico budget di R&D).
  4. Imparate a cucire assieme i silos aziendali. Tradizionalmente, la proprietà dell’innovazione risiede esclusivamente nelle aree tecnologiche e strategiche di un’organizzazione. Nelle organizzazioni a più alta crescita, è più probabile una proprietà dell’innovazione ampiamente diffusa all’interno dell’organizzazione. Deloitte non ha trovato una differenziazione definitiva tra il successo di strutture di innovazione centralizzate o decentralizzate. Ma ritiene che nel settore bancario, un modello decentralizzato o ibrido funzioni  meglio, sfruttando la combinazione di specialisti qualificati (nel prodotto ad esempio) e competenze di mercato.
  5. Misurate con “santa pazienza”. Per quanto riguarda la misurazione dei risultati, è incoraggiata la pazienza. Non solo dovrebbe esserci una misurazione del tasso di conversione delle idee in soluzioni, ma anche la misurazione dei risultati in corso. Cautela per non misurare una nuova innovazione rispetto a una linea di business consolidata.

 

In ultima analisi,  torna il consiglio di quel maître à penser di Forrest Gump, citato all’inizio della prima puntata di questa analisi: per fare innovazione, bisogna essere innovativi. Questo richiede una buona capacità di lavorare sulla propria organizzazione e le proprie persone,  non solo sul prodotto. il Fintech, poi ci verrà in aiuto, ma solo se sapremo cambiare prima noi stessi, diventando – in fondo – noi stessi, una fintech, dentro.

 

© Research Dogma 2021

[1] Ndr: la traduzione giornalistica ed abbreviata è nostra, perdonino gli autori qualche scorciatoia che comunque rispetta il senso originale

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