Il Decision Making del consumatore: come avviene e cosa accade nel "Messy middle"

Cosa accade nelle fasi del percorso di scelta che avvengono tra il primo trigger e la scelta effettiva

Correva l’anno 2002 quando lo psicologo Daniel Kahneman vinse il Nobel per l’economia a seguito dei suoi studi, ricerche e sperimentazioni (insieme ad Amos Tversky, anch’egli psicologo, mancato nel 1996), sulle euristiche, sugli errori umani sistematici e sulle decisioni in condizioni di rischio.

È stato tuttavia quasi 10 anni dopo che D.K., con il suo celebre libro “Pensieri lenti e veloci”, ha portato alla conoscenza del pubblico il fatto che le nostre scelte sono molto meno razionali di quanto pensiamo.

Con il suo testo, D.K. ha dimostrato che le decisioni di chiunque sono l’esito dell’interazione tra due parti del nostro cervello che l’Autore ha trasformato in 2 personaggi di fantasia, chiamandoli rispettivamente Sistema 1 e Sistema 2.  Sistemi dalle caratteristiche ben diverse: il Sistema 1 è dominato dall’irrazionalità, il Sistema 2 dalla razionalità.

Così facendo, ha creato un terreno fertile per rivoluzionare il modo di fare marketing.

Sulla base della sua teoria, avvalorata da studi neuroscientifici e da molto studiosi del comportamento umano, ci si aspetterebbe quindi che quando le Aziende studiano il percorso decisionale del consumatore (sia esso declinato come consumer journey, customer experience e satisfaction), esse tengano conto della presenza di questa sorta di danza tra razionalità e irrazionalità per arrivare a comprendere meglio il consumatore e supportarlo affinché approdi ad una scelta soddisfacente a favore del proprio brand.

Ma non pare essere così più di tanto.

decision making

LO STATO DELL’ARTE

Quando si tratta di analizzare il processo decisionale del consumatore la maggior parte della Aziende continua a prediligere quegli approcci e analisi che sottendono la visione dell’essere umano come un essere molto razionale (o, per dirla alla Kahneman, guidato dal Sistema 2).

Malgrado le nuove conoscenze acquisite, queste sembrano godere di ottima salute a livello teorico, ma faticano non poco nel trovare un’applicazione concreta. I modelli sui processi decisionali tutt’oggi in voga, tendono infatti ancora a razionalizzare molto i percorsi del consumatore e l’effetto dei singoli fattori  in campo (prodotto, servizio, brand image, canali di comunicazione, prezzo …), per spiegarne le scelte e il grado di soddisfazione

Questa semplificazione in direzione della razionalità della mente del consumatore non prende atto della sua complessità e, volendo essere un po’ provocatori, svilisce il senso della consumer centricity che molte Aziende (sicuramente animate delle migliori intenzioni), proclamano come una sorta di mantra.

Quand’è così, inoltre, non stupisce più di tanto (come ci hanno riportato anche alcune aziende), che i “conti non sempre tornano”. I risultati delle ricerche tradizionali provocano a volte un certo disorientamento nei decisori aziendali perché mostrano qualche contraddizione che ostacola l’identificazione della rotta migliore da perseguirsi in termini ad es. di aspetti su cui investire, di fare marketing, comunicazione e via dicendo, per rispondere meglio ai bisogni del consumatore e consolidare/aumentare il successo dell’Azienda.

Potrebbe essere anche perché gli aspetti emozionali ed altri aspetti non razionali vengono trascurati?

LE RISPOSTE DI RESEARCH DOGMA

“Possiamo essere ciechi di fronte all’evidenza e ciechi di fronte alla nostra cecità”
(Daniel Kahneman)

Research Dogma ritiene che una buona ricerca/analisi del processo decisionale non possa trascurare l’importante componente emotiva e irrazionale che caratterizza (qualsiasi) l’essere umano e quindi consumatore.

Per questo, agli approcci tradizionali, affianca approcci più innovativi.

Approcci che hanno un comune denominatore: non partono da assunzioni aprioristiche e offrono spunti ulteriori, ricostruendo in maniera più fedele il percorso neurale del decision making del consumatore.

In tal modo permettono di avere un quadro più chiaro dei fattori realmente rilevanti della valutazione del consumatore e le scorciatoie emozionali e irrazionali del suo percorso.

Consentono quindi ai decisori aziendali di effettuare scelte migliori e mettere a punto strategie più efficaci, che vanno a vantaggio anche del consumatore.

Gli approcci di cui vi accenniamo, la cui applicazione dipende naturalmente talvolta anche dal contesto e dagli obiettivi, sono tre:

  • Il ricorso nell’analisi alle mappe Bayesiane. I modelli di analisi (neo) classici sottendono una valutazione lineare e monodirezionale di tutte le variabili (o fattori) con cui il consumatore viene in contatto, attribuendo un peso a ciascuna in relazione alla sua importanza nel determinare il processo decisionale e la soddisfazione. In pratica, considerano come ogni singolo aspetto impatta sulla scelta/soddisfazione complessiva, considerandoli  uno ad uno.

Le mappe  Bayesiane che utilizziamo in Research Dogma, viceversa, consentono di osservare nella sua interezza  e quindi in maniera più “laica” e realistica il sistema di relazione di tutte le variabili.

Esse collocano infatti tutte le variabili sullo stesso piano, studiando le correlazioni in modo bidirezionale tra una variabile e tutte le altre e calcolano le relazioni casuali più forti.  Identificano così la concatenazione con cui le variabili si attivano e, quindi, che cosa causa cosa.

I vantaggi del loro utilizzo sono numerosi. Consentono infatti di comprendere più accuratamente il percorso decisionale, magari portando a scoprire che qualche fattore inaspettatamente gioca un ruolo marginale e un altro un ruolo più rilevante di quanto non si pensasse, offrendo alle aziende la possibilità di individuare su quali fattori fare leva, quali sviluppare o a quali dedicarsi meno.  

Permettono anche di effettuare ex-post delle simulazioni, degli esercizi di “what if” per capire che cosa accade al modello se si modifica l’intensità della valutazione in un dato punto del modello medesimo.

O, ancora, nel caso ad es. di un prodotto introdotto su più mercati, fanno emergere possibili differenze di mindset e quindi aiutano a identificare le diverse leve da utilizzarsi per una comunicazione efficace nelle varie realtà, suggerendo magari di optare per comunicazioni local e non global (per quanto l’idea di una comunicazione global piaccia, non è detto che sia quella più remunerativa da adottarsi)

  • L’analisi dei principali bias cognitivi, che effettuiamo introducendo nelle nostre ricerche quantitativa dei differenziali semantici formulati come item. Dedichiamo due parole alla loro natura e genesi.

I bias sono dei pre-giudizi inconsapevoli. Il termine pre-giudizio ha assunto nel tempo connotazioni negative, ma in realtà esso non è che una valutazione preventiva ad una conoscenza diretta.

I pre-giudizi sono semplici interpretazioni soggettive della realtà, spesso piegata alle convinzioni di cui si è portatori. Sono il risultato di scorciatoie mentali, strategie cognitive  –  più propriamente euristiche  –  che il cervello utilizza perché non è in grado di processare i milioni di informazioni che gli arrivano ogni giorno,  né di prendere razionalmente le decine di decisioni che una persona deve affrontare nella quotidianità (dal come vestirsi, a cosa mettere nel carrello della spesa, a quale film andare a vedere, magari per quale investimento optare …).

Consentono al cervello di funzionare molto velocemente e risparmiando energie. Queste strategie, che si traducono in bias, sono quindi utili al nostro cervello in termini di economia cognitiva, ma a volte portano a un buon risultato, altre volte portano fuori strada.

È praticamente inesorabile che un processo decisionale di scelta veda l’intervento dei bias. Ma le persone, data la natura inconsapevole dei bias, non sono in grado di raccontarli.

La loro individuazione è quindi un ulteriore contributo prezioso per le Aziende per aiutarle a comprendere cosa accade “dentro” al consumatore e come soddisfarlo meglio, stabilire una relazione vincente con esso.

Individuare e “lavorare” con i bias, non significa approfittare dei meccanismi inconsci per convincere le persone a effettuare scelte, compiere azioni che altrimenti non compierebbero. Significa potenziare l’appeal (di brand, di prodotto, di servizio), in modo da facilitare la scelta al consumatore, correggere eventuali visioni distorte, parlare il suo “linguaggio” e sollecitare in modo gentile la sua attenzione.

Capire se consumatori, o dati target d’interesse dell’azienda sono ad es. avversi alla perdita (e in che misura), se prediligono poche o molte informazioni, se per loro conta la riprova sociale o si fidano soprattutto del proprio giudizio, se amano ciò che è familiare piuttosto che ciò che è nuovo e via dicendo aiuta, in sintesi, a rimuovere gli ostacoli alle scelte senza inganno.

  • Il neuromarketing, su cui non ci dilunghiamo in questa sede, per identificare scientificamente che cosa viene realmente osservato e ha impatto emozionale, crea engagement in un processo decisionale di scelta di un prodotto o servizio (può essere uno scaffale, un sito on-line…).

Concludendo, ci teniamo a dire che non riteniamo affatto opportuno abbandonare gli approcci classici di ricerca. Essi presentano degli indubbi vantaggi: pesando in maniera semplice i fattori, consentono infatti di stabilire in modo semplice, pratico e relativamente veloce come distribuire le risorse tra di essi. 

Affermiamo tuttavia che se come Aziende vogliamo avere una visione più fedele di cosa accade nel consumatore in quello spazio nebbioso che sta tra lo stimolo iniziale e la sua scelta finale, per andargli incontro suscitando più appeal e soddisfacendo meglio i suoi bisogni, gli approcci proposti da Research Dogma espandono indubbiamente la conoscenza, comprensione e sono di supporto ad azioni aziendali efficaci. Il tutto in modo etico e responsabile.

Se desiderate saperne di più, naturalmente siamo a vostra disposizione per condividere le nostre e le vostre esperienze.

© Research Dogma 2021

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