L’innovazione “Anomaly driven”

Trovare i tesori nascosti negli studi di scenario

Ricercatori, Consulenti, Aziende, Organizzazioni, Società: siamo tutti interessati agli studi di scenario.

Se ci focalizziamo sulle aziende, gli studi di scenario sono utili a più livelli e, certamente, lo sono per l’innovazione. Questo perché l’identificazione di nuovi prodotti o servizi, parte quasi sempre dall’analisi dei trend che gli studi di scenario mettono in luce.

Un articolo del HBR di luglio-agosto 2021 di Martin Reeves, Bob Goodson, Kevin Whitaker – “Il potere delle anomalie”-, mette tuttavia in discussione questa consuetudine, segnalandone alcuni limiti  ed evidenziando cosa ostacola aziende, consulenti e ricercatori ad adottare un pensiero differente.

 

PERCHÉ L’INNOVAZIONE FONDATA SULL’ANALISI DEI TREND NON E’ QUELLA PIÙ EFFICACE

È esperienza comune (e l’articolo citato giustamente lo riprende), che quando un trend si consolida o si qualifica come tale, il momento d’oro per l’innovazione – ancor più per quella dirompente cui molte aziende ambiscono – è già passato, perché quasi sempre esso è già stato colto da qualcuno.

Spesso chi innova per primo gode di un vantaggio competitivo, anche se la capacità di esecuzione concreta da parte dell’azienda innovatrice risulta – altrettanto di frequente – determinante. I follower, coloro che arrivano dopo, rischiano spesso la “me too syndrome”, l’ansia da performance di chi si trova a dover recuperare il terreno perduto, rincorrendo chi ha già innovato.

Il consiglio fornito dagli autori dell’articolo di HBR è fin troppo banale: “per vincere la competizione dell’innovazione, occorre identificare i trend nel loro stato nascente, quando sono ancora embrionali”. Più interessante invece il consiglio sulla modalità: per identificare i trend nascenti bisogna lavorare sulle “anomalie del reale”.

Le anomalie, che possiamo anche chiamare segnali deboli, tendono ad anticipare i trend. Esse si presentano come piccole discrepanze: una voce fuori dal coro, un aspetto che incrina lievemente la coerenza dell’insieme. Sono sfuggevoli se non vi si presta attenzione.

Con molta onestà intellettuale, gli Autori stessi segnalano infine, che non tutte le anomalie, ovviamente, si trasformeranno in trend. Ciò vale solo per alcune, e non ci è dato inizialmente sapere quali. Nell’esperienza di Research Dogma esistono modalità per la verifica della “tenuta” dei segnali deboli, ad esempio la loro capacità di generare consenso al di fuori dei micro-segmenti di trend setter. In ogni caso, identificare e mappare le anomalie implica una certa disponibilità al rischio. Questo fa sì che ad ogni scenario corrisponda una sorta di calcolo di probabilità sul verificarsi di eventi favorevoli e contrari.

looking through a telescope

 

LE ATTITUDINI NECESSARIE E PICCOLE STRATEGIE PER ACCETTARE LE SFIDE POSTE DALLE ANOMALIE

Rilevare le anomalie richiede anche una competenza specifica: si tratta di sviluppare un mindset differente da quello usuale. Il mindset “anomalo” richiede un’apertura mentale sul possibile e sull’impossibile. Concerne consapevolezze, una certa capacità di distaccarsi dal “si fa/è così” aprendosi ad altre ipotesi, come la disponibilità a procedere per tentativi e correzioni (da qui un ruolo importante per la ricerca a supporto dell’innovazione).

Se ci interessasse poi focalizzarci sulle anomalie, sarebbe importante tenere presente che:

a) individuare le anomalie non è istintivo, ce lo ricordano sempre le neuroscienze. In una certa misura tutti (persone e aziende) siamo inclini al bias di conferma, che ci porta a considerare più facilmente ciò che convalida le nostre ipotesi, le nostre interpretazioni, piuttosto che ciò che le contraddice. Il bias di conferma potrebbe limitarci nel cogliere le anomalie o indurci a trascurarle. Anche su questo punto, sul come evitare il bias di conferma, esistono specifiche tecniche di ricerca. Un esempio sono tutte le regole in uso nei processi di brainstorming da inserire nei processi di verifica delle ipotesi.

b) lo scenario attorno all’anomalia conta come l’anomalia stessa: occorre avere fame di informazioni. Ossia, disporre di un quadro informativo più completo possibile, che spazi dai bisogni di tutti i consumatori ai cambiamenti sociali, economici, politici in atto, a ciò che fanno i competitor diretti, indiretti fino a come stanno cambiando certi settori. Nell’esperienza di Research Dogma forme di “ecologia informativa” (sfruttare tutte le fonti disponibili, anche usando ricerche e fonti già presenti in azienda), sono quindi uno strumento basilare soprattutto in questa fase di verifica, utili a formare scenari di riferimento.

c) aprire prospettive diverse: l’analisi what if dell’anomalia. Se disporre di tante informazioni è cruciale, secondo gli Autori dell’articolo HBR ciò non basta per validare  le anomalie. Bisogna lavorare sull’anomalia, valutandone la consistenza e gli impatti potenziali. Ad esempio: nella nostra esperienza è molto utile sottoporre l’anomalia ad un processo di analisi delle sue conseguenze ed impatti,  attivando processi di what if analysis: “cosa accadrebbe se…?”. Questo permette in una fase embrionale del segnale di prefigurarsi diversi sviluppi possibili di un’anomalia e di valutarne dunque la sua forza.

d) utilizzare modelli di riferimento, senza innamorarsene troppo: nelle “teorie forti” i modelli sono importanti e un grande supporto, ma non devono offuscare la visione. Anche le teorie e i modelli evolvono nel tempo, aprendo nuovi orizzonti di conoscenza e comprensione. Farvi riferimento va benissimo, ma guardarli senza pretendere che abbiano validità assoluta, consente maggiore libertà di pensiero e una visione più ampia.

e) accogliere l’incertezza e gestirla con gli strumenti del controllo del rischio: per lavorare sulle anomalie, dobbiamo accettare l’incertezza. È una sfida, contrasta col senso di sicurezza che normalmente si cerca. Ma accettare il rischio (economico, quale ad es. un investimento in ricerca, in una sperimentazione o di tempo) che un’anomalia non ci porti da alcuna parte, fa necessariamente parte del “gioco”. L’importante è comprendere, prima possibile se valga la pena seguirlo o abbandonarlo.

 

IN CONCLUSIONE

Alla luce dei cambiamenti che la crisi pandemica ha innestato, gli studi di scenario sono necessari oggi più che mai per comprendere e agire la realtà in cui viviamo e cercare di progettare il futuro e, quindi, anche le innovazioni in termini di prodotti, servizi e stili di comunicazione. Progettazione che, per essere efficace, non dovrebbe a nostro avviso limitarsi a un’interpretazione del presente e nell’avere semplicemente fiducia in ciò che il buon senso suggerisce sul tempo che verrà. Il buon senso è utile ma non è sufficiente; è importante anche intercettare ciò che all’inizio ci sembra imprevedibile nei suoi esiti.

L’importanza attribuita alle anomalie nell’articolo citato all’inizio, ci pare interessante e abbastanza vicina alla nostra esperienza e pratica di analisi dello scenario. Il metodo lo usiamo quando si tratta di analizzare segnali di lungo periodo, ma anche – più semplicemente – per l’analisi di piccole inversioni dei trend congiunturali. Chi ha letto il nostro contributo sullo scenario autunnale 2021 (luglio 2021), forse ricorderà la previsione fatta di una flessione del consumer sentiment in vista dell’autunno. Questa flessione si è puntualmente verificata (Istat Fiducia dei consumatori 27 agosto 2021), dopo un trend abbastanza robusto di quattro mesi in salita. Nulla di straordinario, solo un esempio di applicazione del metodo.

In fondo come diceva Niels Bohr, fisico e premio Nobel del secolo scorso, con una legittima punta di ironia: «È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro».

 

© Research Dogma 2021

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