L’esigenza di puntare sulla cultura della sicurezza in azienda sta diventando un importante fattore competitivo e di de-risking aziendale sia nel mondo dei servizi che nella produzione. Una cultura della sicurezza a tutto tondo: dalla cybersecurity, alla sicurezza di persone ed asset aziendali, materiali ed immateriali. Creare una cultura della sicurezza che protegga l’impresa ed il suo patrimonio materiale ed immateriale (reputazione, brevetti, brand) richiede condivisione, comunicazione e formazione. Non basta l’approccio classico di comando e controllo, top-down, dall’alto. Ma l’attività di informazione e formazione è impossibile senza sapere in quale direzione andare, quali gap colmare, quali energie attivare. Per questo motivo, a sostegno delle imprese ed organizzazioni interessate, Research Dogma ha creato un protocollo base di misura della cultura della sicurezza e lo mette gratuitamente a disposizione delle organizzazioni che intendono usarlo. In questo articolo riprendiamo il tema alla luce delle ultime notizie e vi raccontiamo come fare per sfruttare gratuitamente le opportunità a disposizione.
Il tema della sicurezza sta ricorrendo con sempre maggiore insistenza. Si parla di cybersecurity ed i rischi (ed i costi) connessi, alcuni molto tangibili e sperimentati (con dispiaceri importanti) da molte aziende ed istituzioni europee ed italiane. Nella cybersecurity è noto che una componente importante della capacità di difesa delle imprese sta nello human factor. Un firewall basato su evoluta intelligenza artificiale talvolta può poco di fronte ad una sciagurata scelta di un essere umano nell’aprire la mail sbagliata.
Ma il dibattito sulla sicurezza non è solo cibernetico. Si parla sempre più spesso anche di sicurezza sul luogo di lavoro e su questo tema il dibattito si è spostato – giustamente – da una visione basata sul controllo (ispettori ovunque) ad una visione basata sulla consapevolezza, che prevede una azione dall’interno dell’azienda, della direzione, assieme al personale ed alle rappresentanze sindacali. Senza dimenticare che la sicurezza sul luogo di lavoro non ha solo il coté classico dell’infortunistica (nella quale rientrano oggi anche le casistiche infettive, vedi protocolli anti-Covid). Rientra anche tutto il tema della sicurezza fisica delle persone nei luoghi ed in prossimità degli stessi, rientra anche la difesa degli asset aziendali, materiali ed immateriali (dai brevetti, alla reputazione aziendale). Insomma, occuparsi di sicurezza, abbassare i rischi dell’azienda, diventare security manager, oggi è diventato un lavoro più complesso che in passato.
La sicurezza è così importante da diventare un issue legale (e sociale) anche per lo stesso PNRR. L’art. 20 del DL 36/2022 prevede la possibilità che l’INAIL possa promuovere specifici protocolli di intesa con aziende o grandi gruppi industriali impegnati nell’esecuzione dei singoli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
I protocolli rappresentano una interessante novità orientata proprio a passare dalla cultura del controllo top down, ad una cultura della sicurezza, bottom up o perlomeno condivisa da tutta la comunità aziendale.
Per raggiungere questo obiettivo i protocolli prevedono: formazione straordinaria, l’applicazione di nuove tecnologie e modelli organizzativi (ad esempio con lo sviluppo di strumenti e modelli avanzati di analisi e gestione dei rischi). Lo stesso decreto parla di “iniziative congiunte di comunicazione e promozione della cultura della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”. In altre parole, un intervento profondo e dall’interno della comunità dell’azienda e dell’istituzione, la consapevolezza diventa cultura della sicurezza aziendale.
Con queste premesse le aziende si trovano oggi con un problema in più, che – se ben gestito – può diventare una opportunità. Tutte le aziende minimamente strutturate hanno gestito il tema della sicurezza a tutto campo con il classico approccio top-down. Hanno dato disposizioni e normato almeno i comportamenti base inerenti i diversi piani della sicurezza, adottando i sistemi di controllo che ritenevano opportuni al proprio livello di rischio, hanno magari comprato polizze per proteggersi. Ma sono poche le esperienze di organizzazioni che sono impegnate a misurare l’”output” di queste attività sulla propria comunità (dipendenti, collaboratori, talvolta fornitori). Ovvero di misurare la sensibilità e l’attenzione verso la sicurezza nelle sue diverse accezioni, nell’utilizzo della strumentazione aziendale, fisica e digitale, nella difesa dei segreti aziendali, etc. Ovvero: la cultura della sicurezza, quanto è diffusa ed estesa nella comunità aziendale, quali rinforzi richiede in termini di comunicazione e formazione interna, quali esigenze vengono espresse dal basso per disporre di “commitment” reale su questi temi fondamentali.
Misurare la cultura della sicurezza è diverso (magari complementare) rispetto a misurare, ad esempio, il clima interno. Ci preoccupiamo spesso di poter dire che i nostri dipendenti sono felici di lavorare da noi (anche se le ricerche suggeriscono che non è proprio così, sempre ed ovunque). Magari rincorriamo, con legittimo orgoglio, ci mancherebbe, la medaglia di Best Place to Work. Ma capita che si tralasci di analizzare gli elementi che realmente impattano sulla competitività, sulla produttività, sul de-risking aziendale. Sgombriamo il campo da un equivoco: misurare la cultura della sicurezza non vuol dire misurare l’ottemperanza del personale e dei manager alle norme di legge, che si dovrebbero per definizione considerare rispettate. Significa rilevare l’importanza sul campo, il commitment delle nostre persone nell’agire quotidiano in questo campo, i problemi che incontrano, le soluzioni che possiamo trovare per loro (nei processi, nell’informazione, nella formazione, etc.).
La misura della cultura della sicurezza – nella forma semplificata messa a punto da Research Dogma e messa a disposizione delle organizzazioni interessate – prevede un percorso che tocca alcuni punti :
Questo percorso, secondo noi, è in grado di dirci quali sono i bisogni della nostra organizzazione in materia di cultura della sicurezza, i gap esistenti e le aree di possibile intervento. Se questo è il modello base, lo stesso modello può essere ovviamente personalizzato, entrando nel merito delle rispettive situazioni organizzative. Per ragionare di personalizzazioni, il team di Research Dogma (ricercatori sociali, coach e professionisti HR) è a disposizione delle organizzazioni interessate.
L’iniziativa è no profit, fa parte del portafoglio delle iniziative da “Benefit Company” che rientrano nel modello valoriale ed industriale di RD. L’iniziativa è rivolta a tutte le organizzazioni interessate ad applicare il modello base messo a disposizione da RD.
RD mette a disposizione gratuitamente delle aziende interessate:
Le organizzazioni interessate a conoscere ulteriori dettagli possono contattare Research Dogma via mail su: info@r-dogma.com
© Research Dogma 2022
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