Il “De Senectute” del XXI secolo: l’arte di saper invecchiare al tempo della longevity economy

24 Febbraio 2022 | Fabrizio Fornezza

I BOOMER ALLA CONQUISTA (ANCHE) DEL XXI SECOLO

Washington USA, Gennaio 2021. Si insedia alla Casa Bianca il più vecchio presidente americano che la storia ricordi: Joe Biden, 78 anni.  Anche il suo sfidante Trump, con 74 anni, sarebbe stato il più vecchio di sempre. Ad un eventuale secondo mandato, di solito alla portata di presidenze normali, Biden si presenterà alla venerabile età di 82 anni. Putin e Xi Jinping, i leader di Russia e Cina, al confronto, sono dei ragazzi: rispettivamente 68 e 67 anni. Tutti vengono dal primo dopoguerra: il piano Marshall, la guerra fredda, l’epoca di Stalin e Truman. Un’altra era, forse anche un altro mondo.

Nell’anno dell’innovazione accelerata, dell’industria 4.0, della piccola rivoluzione tecnologica nelle case di tutti, del trionfo di internet e delle videochiamate, del lavoro a distanza, dell’eCommerce e del vaccino sviluppato in 6 mesi, una buona parte del governo del mondo è affidato a persone nate “ere geologiche” fa, se lette con lo schema del presente.

Mentre gli strategist di tutti i settori pubblicano paper su come conquistare la Gen Z (se non già quella successiva, la Generazione Alpha, ovvero i nati dal 2011 in poi), il mondo si avvia verso una longevity economy: un’economia rappresentata ed al servizio di una popolazione mondiale sempre più matura.

La generazione detta dei baby boomer, che attualmente rappresenta la backbone della nostra popolazione in fase di invecchiamento, non è probabilmente la migliore delle generazioni susseguitesi negli ultimi secoli. Altre sono state più forti e resilienti, pensiamo ad esempio a chi ha dovuto attraversare le guerre mondiali.  Ma i baby boomer hanno un tratto peculiare. Sono una delle generazioni che ha vissuto e si è saputa adattare a più ere: la ricostruzione, il boom economico e le rivoluzioni tecnologiche, restando sempre coinvolta e co-protagonista. Di certo questa generazione è una delle più adattabili della storia ed affronta ora anche la rivoluzione della longevità. Perché di rivoluzione si tratta.

Attualmente nel mondo si contano circa 1,7 miliardi di persone che hanno più di 50 anni e rientrano in buona parte in questa meta-generazione degli highlander della adattabilità. Nel 2050, il numero dei 50enni dovrebbe raddoppiare, toccando i 3,2 miliardi di persone. Nel frattempo, la popolazione mondiale sarà cresciuta dai circa 7 miliardi di oggi ai 9 miliardi, per poi flettere (attorno al 2060) e tornare gradualmente verso le attuali dimensioni, poco dopo la fine del secolo (2100). I numeri dell’Occidente ci dicono che l’economia della longevità è un dato di fatto per i nostri paesi.  Non dovremo aspettare che la popolazione italiana cali a 28 milioni (dagli attuali 60), come prevedono i demografi per la fine del secolo, per vedere i pieni effetti dell’economia della longevità qui da noi. La longevità è già qui oggi, anche nell’epoca del Covid ed è resiliente ad esso, malgrado tutto.

LA LONGEVITÀ NON ALLUNGA LA VITA, LA CAMBIA

L’invecchiamento del mondo è da molti considerato alla stregua di una piaga del mondo. “Senectus ipsa est morbus”: diceva già Terenzio Afro, intellettuale romano di oltre 2000 anni fa. Ovviamente l’invecchiamento ha le sue controindicazioni, ma anche molti tratti positivi ed interessanti, che richiedono comunque un orientamento alla flessibilità. L’incontro di nuove “generazioni flessibili” di anziani con il nuovo scenario dell’economia della longevità genera dunque prospettive feconde.

Intanto per la sostenibilità del pianeta. Una specie simpatica e dinamica, ma certamente infestante, come quella dell’Homo Sapiens è meglio che si autolimiti, sia nella quantità che nella qualità della sua presenza.

Ma l’allungamento della vita produce ben altri mutamenti per le generazioni ed i singoli individui. A partire dalla ridefinizione dell’età biologica: secondo recenti studi di gerontologia, un sessantacinquenne di oggi ha la forma fisica e cognitiva di un 40-45enne di 30 anni fa ed un settantacinquenne quella di un individuo che aveva 55 anni nel 1980. Ma più che parlare di quello che tutti hanno più o meno in mente riguardo l’aumento della speranza di vita, ci sembra più interessante concentrarsi su alcuni effetti specifici per l’individuo e la società:

  1. L’impatto sulla vita attiva dell’individuo. La produttività individuale in una prospettiva di vita estesa aumenta e non di poco: il professor Scott della London School of Economics nel suo libro sugli effetti dell’invecchiamento (100 Years Life, Bloomsbury, 2016) afferma che la vita produttiva di una persona che vive fino a 100 anni quasi raddoppia rispetto alla vita produttiva di una persona destinata a vivere fino a 70: 220mila ore di lavoro circa, anziché 120mila circa. Per qualcuno, magari più orientato al riposo, può essere una cattiva notizia. Per tutti gli altri è una opportunità di attivazione continua di progetti, lavorativi e di vita.
  2. Vivere più a lungo richiede più risorse. Tuttavia, vivere più a lungo non vuol dire solo usare più risorse, ma anche attivarsi per generare nuove risorse, sfruttando diversamente la propria vita attiva, sia per quanto riguarda il lavoro che la gestione del proprio patrimonio. Un aspetto che comporta modifiche profonde del classico modello di “life cycle” studiato da Modigliani negli anni 50. Ovvero che noi ci muoviamo su un ciclo di consumo e risparmio che vede una lunga fase di accumulo (durante la vita attiva) seguita da una fase di decumulo in età pensionistica, a mantenere il proprio stile di vita.  Nel nuovo mondo della longevità, non solo il ciclo del decumulo viene spostato in avanti, ma si trasforma – per molti – in una serie di cicli sfalsati di accumulo e decumulo parziale: magari in corrispondenza di lavori e carriere diverse, in diversi stadi della propria vita o di quella dei nostri cari
  3. La progettazione della propria vita segue una sorta di prospettiva quantica: i progetti di vita diventano elementi ibridi che combinano la natura di particelle di vita che al contempo – al loro interno – inglobano micro-cicli di accumulo e decumulo. O, al contrario, di decumulo seguito da accumulo (ad esempio nei momenti di investimento su un nuovo progetto professionale). La maggiore complessità rende le generazioni mature di oggi più sensibili ad un pensiero di lungo periodo rispetto alle generazioni più giovani. Sembra un paradosso, ma quando si studia da vicino il singolo progetto di vita (e non i macro-temi un po’ astratti e valoriali del futuro) si nota che la sensibilità della popolazione matura verso la progettazione futura è spesso superiore a quella della popolazione giovane.  Probabilmente è il senso del tempo che passa e dell’urgenza che esso impone alle persone mature che rende il futuro più prossimo e da considerare già nel proprio presente.  Per i giovani l’urgenza del tempo è inferiore. Per loro un progetto può essere posposto o rimandato, senza grandi difficoltà. La longevità in questo senso, avvicina il futuro, pur estendendolo.
  4. Un pensiero di medio-lungo periodo più diffuso fra la popolazione matura cambia anche il paradigma classico di asset allocation. La vecchia formula americana per stimare la quota di azioni in un portafoglio (quota di azioni nel portafoglio= 100 meno l’età dell’investitore) sembra da rivedere. L’asset allocation dovrebbe invece allinearsi ai cicli alternati della nuova longevità, servendo i bisogni di lungo periodo (pensionamento), ma servendo anche i bisogni di investimento / decumulo provvisori frutto di un cambiamento professionale, di un nuovo progetto di impresa dei famigliari, della necessità di investire sul capitale umano, etc.

LA COLLABORAZIONE INTERGENERAZIONALE COME PRODOTTO DELLA LONGEVITA’

Un ripensamento profondo del ciclo di creazione e rinnovo delle proprie risorse, quelle materiali (il ciclo reddito, risparmio, patrimonio) e quelle immateriali (il ciclo di rinnovo ed aggiornamento del capitale umano, delle sue abilità e competenze) rompe definitivamente anche il ciclo classico della vita delle generazioni precedenti: formazione – lavoro – pensione. Questa frattura rompe anche la linearità del sistema produttivo. Si pensi all’equazione età più matura = stipendio più alto. Così come rimescola le carte fra lavoro dipendente ed indipendente ed offre opportunità di reintroduzione di forza lavoro matura nei processi produttivi e nelle organizzazioni per coprire quelle falle create magari dalla combinazione di processi eccessivamente specializzati e forza lavoro (anche di altissima professionalità) poco esperta.

La longevità in fondo mette più in parallelo le generazioni, le fa condividere un tempo terreno maggiore. Questo rende potenzialmente più fruttuoso lo scambio intergenerazionale. Fateci caso, oggi ci sono – malgrado le giuste specificità generazionali – meno distanze di riferimenti culturali fra generazioni e ciò porta un’opportunità di interazione più stretta fra queste.

Anche nella gestione dei patrimoni famigliari. Eventuali passaggi generazionali possono essere pensati come processi di medio-lungo periodo. E’ opportuno allenare i figli alla gestione del denaro famigliare controllando al contempo l’evoluzione delle loro capacità (spesso questa co-gestione e training non viene messa in atto). Allo stesso tempo induce le famiglie a “nuove” forme di supporto intergenerazionale: il “vecchio” schema di passaggio di patrimonio famigliare fra genitori settantenni e figli 30-40enni che potevano usare l’eredità per lanciare o consolidare il proprio progetto di vita non c’è più.  Già oggi si assiste semmai a passaggi di eredità fra genitori novantenni o oltre e figli almeno sessantenni.  I figli, nel nuovo mondo, vanno fortemente supportati per tempo, ipotizzare che sia l’eredità lo strumento di supporto ai figli è un pensiero superato. Al limite lo sguardo della progettualità inizia a traguardare oltre i figli, verso il supporto ai nipoti.  Non è solo un salto generazionale, per il wealth management, ad esempio, è anche un ritorno alla costruzione e difesa di un patrimonio famigliare che trascende le singole generazioni. La longevità, ci riporta all’antico, ma in forma estremamente moderna.

 

(Scritto e pubblicato nel dicembre 2020)

© Research Dogma 2022

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