PAROLE, PAROLE, PAROLE …

(Come evitare un immaginario effetto “Torre di Babele” e altri effetti collaterali)

06 Luglio 2022 | Research Dogma

Il linguaggio – di cui parliamo da qui in avanti facendo riferimento alla sola componente verbale – è un “campo” molto interessante, sul quale si svolgono infinite partite, tanto che si parla ormai da tempo di intelligenza linguistica. Ma è un terreno scivoloso. Occuparsi del linguaggio è importante in tantissimi ambiti, tra i quali quello di chi come Research Dogma si occupa di ricerca sociale e non, di comunicazione, di gestione delle risorse umane per supportare il miglioramento delle Aziende, del loro business e del benessere di chi vi opera.

Se facciamo nostra la definizione dell’intelligenza linguistica  come “capacità di utilizzare il linguaggio scritto e parlato per esprimersi efficacemente”, intuiamo facilmente che le parole utilizzate non portano automaticamente ad ottenere il risultato desiderato. Sicuramente lo abbiamo sperimentato varie volte sia nella vita personale, sia in quella professionale.

Concentriamoci ora sul piano professionale: mettiamoci il cappello di un’azienda, di un’organizzazione, delle persone che vi lavorano e che hanno contatti con altre realtà e altre persone. Parlare ed essere efficaci non vanno a braccetto. Riuscire a farlo è cosa tutt’altro che semplice, perché spesso non ci hanno insegnato ad evitare alcune trappole. Ma c’è una buona notizia: è possibile non cascarci. A certe condizioni. Qui di seguito riportiamo in sintesi le trappole principali e qualche indicazione sull’”how to”.

La “maledizione” della conoscenza: non dare mai nulla per scontato

È normale che vari settori sviluppino un proprio linguaggio: vale per i medici, gli avvocati, gli IT, per chi si occupa di marketing, di finanza, di web e molti altri.

Quando persone appartenenti al medesimo settore, o che vi interagiscono spesso e hanno avuto modo di assimilarlo, fanno ricorso al linguaggio “specialistico”, si comprendono. Magari non perfettamente, ma generalmente quanto basta per andare nella giusta direzione.

Capita tuttavia frequentemente che chi lavora in un settore finisca per utilizzare il linguaggio specialistico in cui è immerso, anche in contesti differenti, procedendo con il pilota automatico. Attenzione, spesso non funziona. Il risultato che si ottiene molte volte è ben diverso da quello auspicato, se non è addirittura un boomerang. Nei casi migliori, provoca incomprensioni che vanno poi risolte, con dispendio di tempo ed energie. Nei casi peggiori porta ad es. ad un allontanamento dei clienti o a un impatto negativo su un brand o, ancora, riduce le performance di business potenzialmente raggiungibili.

Semplificare il linguaggio e verificare il messaggio ricevuto dal destinatario

L’ultimo report OCSE (2019) riporta che la percentuale di analfabeti funzionali in Italia, tra i 16 e i 65 anni, era del 28%.  È lecito pensare che la pandemia Covid-19 abbia purtroppo peggiorato ulteriormente la situazione, soprattutto presso i giovani, a seguito del forte impatto negativo avuto sulla fruizione dell’istruzione.

L’analfabetismo funzionale fa riferimento ai testi scritti, e questo dovrebbe già far scattare un campanello d’allarme quando ci si cimenta in testi scritti, comunicazioni stampa, leaflet, spiegazioni di prodotti/servizi  ecc. .In questi casi, infatti, è evidente che per essere più efficaci è necessario ricorrere a parole semplici, a maggior ragione quando i testi sono lunghi.

Lascia, a nostro avviso, tuttavia anche presumere che pure la capacità di comprensione del linguaggio verbale dei nostri interlocutori non sia sempre eccellente. Quando parliamo, quindi, è importante non solo mettere da parte i tecnicismi, bensì ricordarci anche che le nostre competenze linguistiche più generali non corrispondono necessariamente a quelle dei nostri interlocutori.

Partire da questo presupposto, ci permette ove opportuno di semplificare il nostro linguaggio, rendendolo più accessibile e comprensibile, il che non significa impoverire o alterare il messaggio. Magari avremo questa impressione mentre invece invieremo messaggi più efficaci.

Nella nostra esperienza, si tratta di una bella sfida, specie per alcuni settori.

Ad evitare equivoci, vale la pena infine di accertarci che ciò che volevamo dire sia stato correttamente recepito. Per farlo e farlo in modo delicato, senza irritare l’interlocutore, occorre qualche piccola abilità linguistica. Esistono “tecniche” variegate per farlo.

Creare una buona relazione: ascoltare e sintonizzarsi con l’altra persona anche grazie al linguaggio

Molte aziende e organizzazioni si rivolgono a target multipli. Questa molteplicità crea degli ostacoli che possiamo involontariamente non considerare. Al di là dell’unicità di ogni persona, si ha a che fare – in misura crescente – con background culturali, livelli di istruzione, linguaggi e sistemi valoriali differenti (si pensi anche alle varie generazioni), e molte altre diversità.

Auto-referenzialità e utilizzo di un unico linguaggio nel proporre qualcosa, nel fornire informazioni, spesso fa perdere delle opportunità.

Per coglierle, occorre innanzitutto ascoltare, ascoltare e ascoltare ancora. Solo ascoltando (il famoso ascolto attivo!), possiamo raccogliere informazioni e “calibrare” la persona, trovare le modalità migliori per metterla a proprio agio e costruire così un dialogo soddisfacente e costruttivo per entrambe le parti. Anche a questo proposito, il linguaggio è importante. Il linguaggio che si utilizza può farci sentire più o meno vicini, renderci più o meno gradevoli, farci percepire come più o meno affidabili e via dicendo. Più siamo percepiti come vicini, gradevoli, affidabili, più aumentano le probabilità che saremo ascoltati. Poi magari non venderemo un dato prodotto/servizio, ma sicuramente avremo lasciato un buon segno che potrà tornare utile in futuro.

Dedicare un po’ di tempo alla persona che abbiamo di fronte per ascoltarla, capire i suoi bisogni, farle capire che li abbiamo compresi, semplifica immensamente quanto viene dopo.  E occorre farglielo capire utilizzando il suo linguaggio, non il nostro.

Pertanto, più parole abbiamo al nostro arco (i.e.  vale a dire più il nostro vocabolario è ricco e siamo flessibili, capaci di modularci sui target), più efficaci saremo. Naturalmente non basta: alle spalle dovremo avere anche buoni prodotti e servizi, il giusto equilibrio tra qualità e prezzo ecc.

Allenarsi ad utilizzare parole efficaci in sé

L’argomento è molto vasto per cui ci limitiamo ad un accenno.

Una delle teorie più accreditate nel campo linguistico sostiene che il linguaggio contribuisce a creare la realtà. Non c’è la certezza assoluta che sia così, ma comunque la si pensi, ognuno di noi nella vita ha certamente sperimentato molte volte la potenza del linguaggio e il suo legame con le emozioni: alcune parole ci fanno stare bene (o fanno stare bene gli altri), altre ottengono l’effetto contrario. Ricordarcene è molto utile perché ci porta a prestare una certa attenzione,  oltre che a quella ai criteri sopra-citati –  alle parole che scegliamo di utilizzare.

Esistono infatti parole depotenzianti, che creano emozioni negative (l’informazione di questi mesi ci permette di verificarlo facilmente, provate!) o addirittura “tossiche”, e parole che suscitano l’effetto contrario. Anche qui non si tratta di alterare un messaggio, solo di formularlo con parole che tranquillizzano maggiormente il nostro cervello. Un esempio su tutti: no e sì. E’ possibile esprimere il proprio dissenso senza utilizzare il no? Sì, lo è e se ci riusciamo, otterremo delle reazioni ben diverse da quelle che otterremo dicendo “no”.

Se vorrete, saremo lieti di approfondire questo aspetto

L’esempio di un settore sfidante di applicazione del linguaggio: il mondo finanziario

Il mondo finanziario è un mondo complesso. Alla complessità oggettiva di tanti suoi prodotti, si aggiungono tutti gli aspetti normativi.

Ha ulteriori caratteristiche peculiari: riguarda tutti, seppure a differenti livelli (chiaramente il target MM ha dei bisogni in buona parte differente da un target Private) e tratta un tema “delicato”, la quantità di denaro o il livello di ricchezza posseduta che sia, a cui si associano tante convinzioni e valori. È un settore che risente di fenomeni sociali quali la longevità crescente della popolazione, l’andamento dei prezzi, l’aumento della sensibilità alle tematiche ESG, di cambiamenti culturali e di molti altri fattori.

Per moltissimi clienti rappresenta un mondo oscuro, difficile, in cui ci si perde facilmente e di cui spesso si diffida. Nell’esperienza dei ricercatori di RD, l’accusa più ricorrente individuata è che sia un settore che si nasconde dietro ai tecnicismi e che più che essere orientato al cliente è orientato ai propri interessi.

È possibile “scardinare” queste convinzioni? Sulla base delle nostre esperienze, lo è.

I clienti hanno bisogno di capire e offrire loro questa possibilità è fattibile. Per farlo occorre ascoltarli, prestare loro maggiore attenzione. Bisogna entrare in relazione, creare un patto di fiducia, capire i loro bisogni e i loro progetti e fornire delle soluzioni concrete che li supportano nella loro realizzazione.

Per riuscire a creare tutto questo occorre individuare il giusto linguaggio da usarsi di volta in volta e utilizzare “carezze linguistiche” per creare un setting positivo, naturalmente in modo etico. Non solo, ma proporre anche degli storytelling comprensibili, efficaci perché sono degli specchi in cui le persone possono riflettersi e che risuonano sia con la mente sia con il cuore. 

Come aziende, organizzazioni, persone che vi lavorano vi siete mai soffermati a riflettere sul  linguaggio che utilizzate? Ne avete mai misurato l’efficacia, l’impatto? Se non l’aveste ancora fatto, o voleste verificare la possibilità di ulteriori miglioramenti Research Dogma vi può affiancare.

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