Sostenibilità, Terzo Settore e la sfida del PNRR

08 Giugno 2022 | Research Dogma

Nel mese di Maggio si è tenuto a Roma un interessante convegno promosso da ConfAssociazioni sul tema della sostenibilità e delle prospettive del terzo settore di fronte alle sfide contemporanee ed alle opportunità del PNRR.  Research Dogma, nel suo intervento di apertura, ha illustrato lo scenario mettendo in luce gli elementi fondamentali per gestire la relazione del Terzo Settore con i suoi partner e stakeholder: gli italiani, il sistema di Impresa, il mondo della PPAA e gli investimenti del PNRR.

Lo scenario sociale in Italia

Come già in parte illustrato nei nostri recenti articoli lo scenario sociale mostra energie positive, malgrado la situazione complessa.  Gli italiani restano turbati dalla pressione congiunta di guerra ed inflazione, a cui si aggiunge la sotterranea preoccupazione per la non definitiva soluzione della pandemia. Ma in questo clima le reazioni sono anche molto equilibrate: il consumer sentiment si è contratto allo scoppio della guerra, ma si è poi stabilizzato su livelli che prima della crisi sarebbero stati considerati ragionevolmente buoni. Le preoccupazioni non spengono la voglia di normalità e di pace (anche a costo di mediazioni), una tendenza che rappresenta una sorta di basso continuo che agisce al di sotto della superficie delle opinioni e dei sondaggi.

Il viaggio della sostenibilità e l’impatto su sistema economico e modello di consumo

La sostenibilità appare “on the move”: il suo percorso dal 2019, quando è emersa prepotente nel dibattito pubblico con i Friday for Future e Greta Thurnberg, è stato lungo e la sua rilevanza sociale si è accresciuta. L’osservatorio sui consumi di Findomestic  (a cui RD collabora) ci ricorda che almeno un terzo degli italiani dà nella primavera del 2022 maggior rilevanza alla sostenibilità di quanto non facesse nel 2019.

Ma non è solo un problema di quantità e di diffusione sociale della sensibilità. Il cambiamento intercorso è anche di tipo “qualitativo”. Gli eventi susseguitisi negli ultimi anni hanno costruito una sensibilità ai temi ESG, molto più pratica e concreta di prima. Se prima la sostenibilità era essenzialmente un tema di valori etici per una élite sensibile a questi, oggi è diventato un valore più diffuso, dal quale ci si aspettano soluzioni pratiche e sostenibili per il futuro. Potremmo brutalmente sintetizzare: oggi la sostenibilità deve riuscire a mediare fra testa, cuore e portafoglio.  Gli elementi che lo provano sono sotto gli occhi di tutti: sta cambiando, gradualmente ma inesorabilmente il modello di consumo, dai piccoli gesti alle scelte di spesa sui consumi importanti della famiglia (come ricorda appunto l’Osservatorio Findomestic)

Le conseguenze sono evidenti anche per il sistema di Offerta, uno dei naturali stakeholder del Terzo Settore.  Prima fra Imprese e Terzo Settore era sufficiente una buona alleanza su operazioni di comunicazione “sostenibili” legate al brand: compensare emissioni, co-partecipare a qualche “opera socialmente o ambientalmente utile”[1] per il territorio o le comunità. Oggi la sfida che l’Impresa si trova ad affrontare è diversa: sviluppare un modello di business sostenibile, che non scarichi troppi costi sul consumatore finale (e nemmeno sugli azionisti) e che sappia risolvere i rebus della competizione globale (sia sui mercati che sulle materie prime ed energia). Un compito molto più complesso, che richiede anche al Terzo Settore una capacità di interazione con l’Impresa su un livello superiore a prima.

Il Terzo settore, la sostenibilità ed i suoi stakeholder

La nuova sfida, imposta dalla diversa sensibilità sui temi della sostenibilità, forse non cambia profondamente il modo di agire del Terzo Settore nella gestione diretta dei suoi interventi sociali ed ambientali.  Ma ha un impatto importante nella relazione fra il Terzo Settore ed i suoi stakeholder: il sistema di impresa, l’opinione pubblica, la platea di potenziali sostenitori e finanziatori (tradizionali e nuovi), così come con la Pubblica Amministrazione, che include anche il complesso sistema di investimenti facenti capo al PNRR.

Potremmo azzardare che per il Terzo Settore non basti più agire con il suo tradizionale «positive impact» sociale ed ambientale. Il mondo del No Profit deve saper migliorare le proprie capacità di lettura ed interpretazione dei bisogni che cambiano fra gli stakeholder. Un compito che renderebbe il Terzo Settore non solo un soggetto sociale (fra i tanti), quanto un vero leader nel suo specifico ambito.  Per questo è necessaria che il Terzo Settore si doti di competenze professionali, di approcci innovativi, di solide reti di relazioni (per ovviare, ad esempio, ai problemi di dimensione organizzativa che molte strutture hanno) che lo supportino nel percorso indispensabile per raccogliere sfide ed opportunità.

Il Terzo settore ed il PNRR

L’abbinamento fra Terzo Settore ed i piani di ripresa nazionale non è casuale. L’intreccio fra i due è importante anche se spesso sfugge all’opinione pubblica (e forse non solo a lei). Il Terzo Settore è spesso chiamato in causa quando gli obiettivi del PNRR (o di piani affini) sviluppano direttamente finalità sociali orientate all’inclusione, al social housing, al recupero dei territori (il tema dei borghi e delle aree interne), etc. Per alcuni di questi temi il Terzo Settore è ben attrezzato, anche se spesso esso risulta parcellizzato sul territorio in organizzazioni sottodimensionate per poter riuscire a svolgere ruoli rilevanti in estensione e profondità, talvolta anche solo a candidarsi per questi ruoli.  Un aspetto non marginale per operare una leadership ed una interlocuzione istituzionale su un piano complesso come il PNRR. Senza contare le necessità di disporre delle risorse professionali per dialogare e progettare interventi strategici.

Ma l’azione del Terzo Settore potrebbe andare anche oltre la chiamata in causa sugli interventi sociali. Il suo contributo potrebbe essere molto utile anche a supporto di interventi infrastrutturali che oggi stanno in alto nell’agenda pubblica degli italiani. Parliamo ad esempio di investimenti in ospedali e medicina del territorio o di investimenti sul sistema scolastico.  Anche in questa area il Terzo Settore ha un suo potenziale spazio di azione, per trasformare investimenti strutturali (ad esempio una nuova scuola) in progetti sociali. Questo richiede di saper portare ai decisori ed alle comunità soluzioni che potremmo definire di «software infrastrutturale». Ovvero di essere il soggetto sociale che fornisce le componenti di utilizzo ed integrazione sociale dell’investimento infrastrutturale. Una scuola o una dotazione tecnologica scolastica sono solo precondizioni e possibilità (hardware), senza un progetto ed un pensiero sul loro utilizzo, presente e futuro. Dal Terzo Settore possiamo aspettarci questo contributo di “software infrastrutturale” e la sfida non è banale.

Ma il paese ha bisogno anche di altri interventi utili ed il PNRR si occupa di questi: reti di comunicazione, porti, infrastrutture energetiche e tecnologiche, ambientali, impianti di energia pulita. Tutti investimenti utili, ma come è noto anche potenzialmente «ingombranti» sul territorio.  Qui si gioca un terzo ruolo per il No-profit in relazione al PNRR. Quello essere da un lato un watchdog che garantisca un orientamento degli investimenti in senso sostenibile, ma allo stesso tempo di avere la capacità e visione per gestire mediazioni fra obiettivi diversi: sviluppo e sostenibilità, economia e etica, lavoro e salute. Un ruolo complesso che il Terzo settore non è sempre riuscito a gestire con il dovuto equilibrio nel passato.

 

Il Terzo settore e la comunicazione, una nota finale

Anche la comunicazione del Terzo Settore (ad esempio quella, importante, finalizzata al fund raising o alla partnership con il sistema di impresa) sta subendo cambiamenti rilevanti. Parlare di neo-pragmatismo e comunicazione nel mondo del Terzo Settore richiede oggi di accettare alcune sfide:

  1. bisogna saper parlare alla testa ed al cuore del paese (messaggi puramente emozionali, rischiano di cadere nel vuoto nella tempesta di priorità del periodo)
  2. bisogna saper parlare in positivo (della capacità concreta di risolvere problemi) e non solo in negativo, come è tipico della classica “conversazione sull’emergenza”
  3. bisogna saper calare sul qui ed ora gli impatti del proprio intervento (l’imprinting della neo-concretezza), coinvolgendo gli stakeholder, possibilmente nella forma più estesa.
  4. bisogna saper innovare, trovando anche nuove forme ed argomentazioni su molti temi importanti. Dall’ambiente, ai fenomeni migratori, ma anche tematiche di fund raising su temi delicati quali quelli del testamento solidale, possono richiedere storytelling più ariosi di quelli usati finora. Il tratto comune, che va di certo studiato ed analizzato caso per caso, sta forse nella formulazione di un diverso pensiero sul futuro o su modelli di consumo sostenibile. Un pensiero che sappia guidare il paese. Per questo deve essere comprensibile per larghe maggioranze e non solo apprezzato da virtuose minoranze ed élite di alto profilo etico.

 

Per quel che possiamo vedere, una parte significativa del Terzo Settore si sta già impegnando per essere competitivo e per affrontare con successo queste sfide.  Alcune punte ed esperimenti narrativi nella sua comunicazione sono in atto e vanno nelle direzioni sopra accennate.  

Possiamo pensare che il Terzo Settore abbia ancora spazi di crescita. Ma va riconosciuta anche la passione, l’intelligenza, la competenza e l’impegno delle persone e delle strutture di questo mondo.  Tutto ciò non è in dubbio e costituisce il grande asset del Settore e del Paese. Per le sfide da affrontare, questo asset è condizione necessaria, ma un ulteriore rinforzo sul piano delle competenze e capacità di innovazione e strategia, sembra essere opportuno.

 

© Research Dogma 2022

Note:

[1] Qualcuno potrebbe vedere in questo approccio più comunicazionale tracce di “greenwashing”. Crediamo che la stragrande maggioranza degli interventi svolti dalle imprese siano stati concretamente utili, anche se su questo è il Terzo Settore a dover dare una valutazione di merito.  Certo, oggi quell’approccio non sembra più sufficiente a soddisfare la nuova domanda sociale di sostenibilità.

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